La storia di Filippo Mazzei
Quella di Filippo Mazzei ( 1730-1816) è una grande storia italiana, curiosamente poco nota ma di straordinario rilievo.
Questo toscano di Poggio a Caiano cominciò poco più che ventenne la sua carriera di giramondo come medico a Livorno e Smirne, fu a Londra come commerciante, ebbe momenti alterni di familiarità con il granduca Leopoldo di Toscana e, da lui richiesto di procuragli le stufe disegnate da Benjamin Franklin, strinse amicizia con questi e fu lanciato nell’avventura americana, la più straordinaria della sua vita.
Partì da Livorno con la nave Triumph con contadini toscani, una sarto piemontese, trentatre tipi di vite, piante di olivo e della noce, ovuli di baco da seta, scarpe, carta da musica, libri ( il recente edito nella città labronica "Dei delitti e delle pene " del Beccaria ) , e due capre, tutte cose inesistenti nelle Americhe, approdando in Virginia e là, in quello stato fertile di idee e di uomini illustri, conobbe e frequentò tutti e cinque i primi presidenti americani George Washington, Thomas Jefferson, John Adams, James Madison, James Monroe ed anche George Wythe.
Partecipò alla rivoluzione americana e alla stesura della Carta dei Diritti, acquistò fama nel mondo come ambasciatore a Parigi dello Stato della Virginia ed agente nella stessa città del Re Stanislao di Polonia di cui diventerà in seguito primo consigliere di corte a Varsavia , partecipò anche alla Rivoluzione Francese e conobbe tutti: da Maria Antonietta a Mirabeau, da Condorcet a La Favette, a Marat, a Lavoiser: Nelle sue scintillanti memorie, uno dei testi più curiosi del XVIII secolo, ha raccontato un’avventura intellettuale unica tra due mondi, con la vivacità e la fantasia di un gran figlio del secolo Lumi.
Apparteneva al genere dei grandi avventurieri ed eroi cosmopoliti senza frontiere del settecento: fù un po’ Casanova e un po’ Cagliostro, ma con assai maggiore profondità, con raro talento diplomatico e politico, con vasti orizzonti intellettuali e con una inesauribile ironia.
Partecipò da protagonista alle grandi vicende del suo secolo, conobbe gli uomini più rappresentativi, fu «impresario» di cultura e di politica tra Europa ed America ed è stato giudicato l’italiano che più ha fatto conoscere l’ideologia e i costumi dell’America in Europa, qualche decennio prima di Tocqueville. Trascorse gli ultimi decenni della sua vita a Pisa, dove scrisse le sue memorie e dove è sepolto, nella chiesa del cimitero suburbano. Mazzei è una grande figura della nostra storia: paragonabile come senso dell’avventura a Cristoforo Colombo e a Garibaldi, come sete di cultura e di conoscenza a Beccarla, Alfieri e Algarotti.
Figura non provinciale : cittadino del mondo, cosmopolita d’istinto. Incredibilmente, questo eroe italiano della conoscenza è pochissimo noto in Italia ed è stato più studiato all’estero che da noi. E’ tempo di riparare ad un’ingiustizia verso un personaggio storicamente rilevante ma anche simpaticissimo e affascinante, un Casanova alla corte di George Washington.
La gioventù
Dopo gli studi compiuti tra Prato e Firenze nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa [1]e poi a Livorno intraprendendo con successo l’attività di medico. Dopo solo due anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo seguendo il medico ebreo Salinas con cui condivideva l'attività nella città labronica.
Nel 1754 giunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l’insegnamento dell’italiano (principalmente sui testi dell'Ariosto), riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei prodotti mediterranei, principalmente vino, inserendosi lentamente nei salotti dell’alta borghesia londinese.
In questo periodo una breve parentesi italiana si concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra a seguito di una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”. L’illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano tabù nella bigotta realtà italiana stretta nella ferrea morsa della controriforma.
La Rivoluzione americana
In questi circoli londinesi Filippo Mazzei conobbe Benjamin Franklin e Thomas Adams, personaggi che da li a pochi anni sarebbero stati trai principali protagonisti della rivoluzione americana.
Le colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite assemblee di delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l’ordinamento legislativo era ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli anni era probabilmente la più avanzata, garantista e liberista che esistesse.
Invitato dagli amici d’oltre oceano, spinto sia dalla curiosità dell’inedita forma di governo ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, nel 1773 Mazzei si trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani.
Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di Monticello per incontrare Thomas Jefferson, con il quale già intretteeva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0.75 km² della sua tenuta a favore dell’italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome deriva da Colle Val d'Elsa in quanto il Mazzei aveva preso ad esempio la campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata: un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per oltre 40 anni.
Il livello delle frequentazioni americane trascinò velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nalla vita politica della ribollente colonia della Virginia.
Autore di veementi librelli contro l’opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed all’ugualianza; alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo stesso Jefferson che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Eletto speaker dell’assemblea parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di esporre le sue idee sulla liberta religiosa e politica ad un vasto oratorio, composto anche di persone umili ed ignoranti, che lo ascoltavano assorte.
Un suo scritto "Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates in Convention", redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell’assemblea della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come bozza per il primo tentativo di scrittura della Costituzione dello stato della Virginia.
La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci economici in quanto il clima ed il terreno della Virginia non si erano dimostrati particolarmente graditi a vite ed olivo, e una eccezioanle gelata distrusse buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta fatica.
Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime ore nella guerra d’indipendenza americana, nel 1778 fu inviato in Europa da Jefferson e Madison per cercare prestiti, acquistare – o meglio, contrabbandare – armi ed ottenere informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione.
In questo periodo scrisse articoli di giornale, spesso firmandosi con lo pseudonimo del Furioso, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti commerciali e politici tra gli stati europei e la Virginia; per tali servizi fu ufficialmente retribuito dal 1779 al 1784.
Rientrato in Virginia nel 1783, con suo grande disappunto non fu nominato console e due anni dopo lasciò per l’ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari con molti di quelli che oggi sono definiti “padri della patria” statunitensi ed in particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a Parigi.
In questo breve periodo riusci comunque ad essere nominato amministatore della contea di Albemarle.
La Rivoluzione francese e le vicende europee
Approdato a Parigi, nel 1788 pubblicò una voluminosa e prolissa opera “Recherches historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique septentrionale” che nonostante il mancato successo editoriale rimane tutt’oggi una preziosissima fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana, in quanto gli altri scritti contemporanei sono quasi sempre infarciti di propaganda, a favore o contraria.
La notorietà delle sue idee e la costante attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America lo fece venire in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi.
Da questa posizione privilegiata poté seguire in diretta la rivoluzione francese, di cui condannò la deriva giacobina e prese atto della rovina economica, e nel 1791 si trasferì a Varsavia come Consigliere di Corte dell'ormai amico Re Stanislao assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla stesura della costituzione
Gli anni pisani
Dopo un anno passato a Varsavia, sebbene ben retribuito ma contrariato di come il Re non seguisse i suoi consigli rientrò definitivamente in Italia, stabilendosi a Pisa.
Nel 1795 la Polonia fu dissolta dalla terza spartizione operata da Russia e Prussia; nel 1802 lo zar Alessandro I si accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio.
Il disincantato Mazzei nel 1799 oramai settantenne assunse nuovamente all'onore delle cronache. Fu testimone dell’arrivo delle truppe repubblicane francesi in Pisa, e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno.
Si racconta che abbia scelto Pisa sia per la mitezza del clima e, come Leopardi , per la dolcezza dei suoi lungarni sia per la vivacità dei salotti culturali pisani tra cui in particolare quello a Palazzo Lanfranchi ed a Montefoscoli degli illuminati Vaccà Berlinghieri del coetaneo Francesco , medico chirurgo , e dei figli Andrea e Leopoldo conosciuti da Mazzei a Parigi come studenti di medicina negli anni della rivoluzione, inoltre anche per la vicinanza dei suoi cugini, i fratelli Mazzei che abitavano nella vicina Livorno e che erano piuttosto danarosi. Per lui che era in quegli anni indebitato ed indaffarato a riscuotere crediti passati, la vicinanza di una parentela benestante costituiva un ulteriore valido motivo di insediamento. Appena arrivato a Pisa Filippo Mazzei dimorava dapprima presso un falso amico che lo derubava anche di un rotolo di fiorini olandesi, dopodiché prendeva in affitto la casa di Via della Carriola (adesso Via Giordano Bruno) dal suo amico Clemente Del Buono che successivamente comprava dal medesimo, come scriverà lui stesso nelle Memorie nel 1810.
Frequentatore del caffè dell'Ussero Mazzei compiva dei brevi viaggi nella campagna pisana ed in toscana nelle vicine Lucca, Livorno Pistoia e Firenze anche se non rappresentavano eventi di rilievo come invece le sue frequentazioni in città dove dopo un anno circa dal suo arrivo aveva la gran sorpresa di incontrare il barone di Cuber già conosciuto a Varsavia come ambasciatore di Spagna ed intimo amico del Re Stanislao di Polonia.
L’incontro tra i due avveniva nella più famosa locanda pisana: L’Ussero. Luogo quest’ultimo di incontri importanti dal punto di vista storico, letterario, artistico ed anche politico che ritroveremo moltissimo nelle vicende pisane del Mazzei ed anche nel corso dei successivi eventi storici, oltre che in quelli precedenti.
Successivamente incontrava a Pisa anche il conte Chreptowicz, già ministro degli esteri in Polonia, il conte Potocki ed altri amici e dignitari della corte del Re Stanislao. Incontrava altresì Kosciuzko, l’eroe polacco della guerra d’Indipendenza Americana che ritrovatosi poverissimo, aveva rifiutato a Dresda un cospicuo regalo da parte di amici. Le lettere che Filippo Mazzei inviava agli amici in questi primi anni di permanenza a Pisa tuttavia parlavano soltanto di agricoltura, sementi, coltivazioni e poco altro sotto lo pseudonimo di “Pippo l’Ortolano” e mai delle vicende della Rivoluzione Francese, di La Fayette e della Polonia ormai spartita e ridotta in schiavitù.
Tutto questo in palese contrasto con il carattere cosmopolita ed il temperamento dell’avventuriero e del combattente qual è stato Filippo Mazzei che si è sempre impegnato nelle battaglie per la libertà dei popoli e per la uguaglianza.
Una spiegazione plausibile di questo apparente disinteresse per le vicende politiche del tempo può essere rinvenuta sia nelle traversie di carattere finanziario del Mazzei che nelle sfortunate vicende sentimentali del medesimo, il quale raggiunto a Pisa presso la casa di via della Carriola dalla sua amante Joséphine (da lui chiamata Giuseppina) Vuy, la giovane savoiarda che aveva convissuto con il Mazzei a Parigi, questa moriva poco dopo afflitta da atroci sofferenze a seguito di una grave malattia. Le cure domestiche della donna prima della morte venivano affidate ad una giovane e bella governante proveniente da Fivizzano paese situato in provincia di Lucca,una certa Antonia Antoni , “Tonina”, che veniva designata dalla stessa Giuseppina come futura moglie dell’amato Filippo che pur sessantacinquenne, era ancora un uomo molto vitale e bisognoso di attenzioni femminili che peraltro non gli erano mai a mancate.
La giovane sposa del Mazzei, sua ex governante, la sera del 23 luglio 1798 dava alla luce una figlia che veniva chiamata Elisabetta, unica erede la cui discendenza proseguirà nella città di Pisa fino ai nostri giorni con la famiglia Maruzzi. Per sposarsi di nuovo l’illustre amico Thomas Jefferson gli procurava il certificato di morte della prima moglie deceduta in Virginia.
Ma l’interesse per le grandi novità che riguardavano l’Europa martoriata e le avversità politiche dell’epoca non erano del tutto sopite nello spirito guerriero del Mazzei in quanto corrispondeva con il generale Wojna sull’amaro epilogo della illuminata corte polacca e con l’eroe della indipendenza corsa, Pasquale Paoli.
Corrispondeva anche con Vittorio Alfieri con il quale proprio a Pisa, prendeva parte anche a rappresentazioni teatrali presso il Teatrino di Palazzo Agostini della Seta, in Via S. Cecilia in commedie ove recitavano “fruttaiole” e fioraie del pisano insieme con nobili compagnie di accademici.
Piuttosto consistente era la corrispondenza negli anni 1795 e 1796 tra Filippo Mazzei e Thomas Jefferson che tuttavia culmina con l’ “incidente” della Mazzei Letter, ovvero con la divulgazione ad un giornale fiorentino del contenuto molto riservato e confidenziale di una lettera inviata da Jefferson in cui venivano espresse considerazioni molto pesanti sulla classe politica americana sospettata dal Jefferson di collusioni con antiche reminescenze aristocratiche tramandate dagli inglesi. Il giornale fiorentino pubblicava tale “scoop” e la notizia delle critiche feroci quanto esplosive del Jefferson facevano il giro del mondo venendo dapprima pubblicate a Parigi e poi, inevitabilmente, sul giornale americano “New York Minerva”. Thomas Jefferson non perdonò mai questa scorrettezza dell’amico anche se non replicò mai direttamente al Mazzei contestandogli lo spiacevole accaduto. Per ironia della sorte, la triste vicenda della Mazzei Letter aiutava invece il nostro illustre personaggio a conservare la memoria storica delle sue gesta politiche e della diffusione dei suoi ideali proprio in America e a contribuire alla sua grande popolarità di cui gode ancora oggi in quel continente.
Nel 1799, proprio a Pisa, viene pubblicato un opuscolo composto da nove capitoli intitolato “Riflessioni su i mali provenienti dalla questua e su i mezzi di evitargli”. Gli inconvenienti di una diffusa quanto incontrollata pratica dell’accattonaggio sono ancora oggi, di scottante attualità.
All’età di 72 anni Filippo Mazzei, pressato da necessità finanziarie intraprendeva un avventuroso viaggio a Pietroburgo ed a Varsavia allo scopo di recuperare parte del denaro che gli aveva promesso Re Stanislao e che non era riuscito ancora a riscuotere. L’imperatore russo Alessandro, lo accoglieva molto bene e lo congedava lasciandogli una soddisfacente rendita a saldo dei suoi compensi fino ad allora insoddisfatti.
A dimostrazione della tesi secondo cui il Mazzei a Pisa non conducesse proprio una vita povera di idealità e lontana dagli sconvolgenti avvenimenti politici del tempo come qualcuno sembra sostenere, risulta la documentazione rinvenuta in un archivio privato di Volterra del rapporto e soprattutto dell’interrogatorio subito presso il Tribunale da parte del Bargello di Pisa sulla presunta appartenenza ad una loggia massonica da parte del Mazzei e sulla conseguente attività dei propri affiliati.
Il Mazzei, come già accennato, era solito frequentare la”diacciaia” del Caffè dell’Ussero in quanto appartenente al Circolo Napoleon, che pur non trattandosi di loggia massonica riuniva tutte le menti illuminate sicuramente appartenenti senza ombra di dubbio alla massoneria che circolavano all’epoca in città e nelle vicinanze provenienti dagli ambienti studenteschi, illustri docenti dell’Università, i migliori ambienti professionali e culturali cittadini, ma anche internazionali.
Le frequentazioni del circolo operante presso la “diacciaia” da parte degli aderenti erano in pratica volte allo scambio di informazioni provenienti dal mondo ormai in fermento (in prevalenza tramite una riservata corrispondenza) ma soprattutto costituivano un laboratorio di idee nuove, democratiche e repubblicane, che contribuivano in modo determinante alla nascita di quel movimento liberale risorgimentale che consentirà l’abiura delle violenze rivoluzionarie del settecento per lasciare spazio alla ideazione di quel modello di democrazia che ancora oggi costituisce il fondamento della vita politica nazionale. Tutto ciò, guarda caso, in perfetta sintonia con lo stile conosciuto del pensiero di Filippo Mazzei.
Questo spiega, a nostro avviso, il desiderio di defilarsi ufficialmente dalle vicende politico culturali cittadine da parte di Mazzei, che si limitava pertanto a definirsi un agricoltore, ben sapendo di avere gli occhi addosso della polizia che ne controllava gli spostamenti e soprattutto le frequentazioni proprio per ciò che aveva rappresentato in passato soprattutto per l’importante ruolo di collaborazione con la giovane Confederazione degli Stati Uniti. In fin dei conti Pisa, da sempre, è una città di dimensioni non elevate, dove è difficile far perdere ogni traccia dei propri spostamenti e delle frequentazioni.
Filippo Mazzei, abile e scaltro per essere avvezzo ad intrighi di corte vissuti soprattutto in Polonia, sembrava nascondere bene anche le frequentazioni di logge massoniche di cui molti accreditati storici già ne testimoniano la presenza a Pisa fin dalla metà del settecento ad opera di generali Francesi.
Infatti al Mazzei non veniva attribuita l’affiliazione né alla loggia costituita a Pisa nel 1801 dall’ebreo Aghib di Livorno sotto la protezione degli ufficiali francesi trasferitasi poi nel Palazzo delle Vedove e cioè presso un’ala del Palazzo Reale (testimonianza della appartenenza alla Massoneria del Granduca Leopoldo che desiderava realizzare il sogno dello stato moderno proprio con l’aiuto degli uomini e delle idee provenienti da questa istituzione).
Né abbiamo notizia di una affiliazione ufficiale del Mazzei ad una nuova loggia massonica formata da italiani e francesi che lavoravano presso l’Ospedale dei Francesi le cui riunioni avvenivano in casa dell’ebreo Montel (forse denominata anche in seguito Scuola dei Murzi come loggia di Rito Scozzese).
Tuttavia, una figura di spicco come il Mazzei per i suoi trascorsi politici ed ideali, per la sua vicinanza al Granduca Leopoldo, per l’elevatezza spirituale del concetto da lui ideato quale il diritto alla “ricerca della felicità” contenuto nella Dichiarazione di Indipendenza della nascente nazione americana, per il suo stile di vita che rifuggiva dalle cariche pubbliche scegliendo piuttosto di “esser di qualche utilità, impiegando il tempo a scriver delle idee utili, e discuterle nelle conversazioni private d’uomini sensati” come scriveva parlando di sé nelle “Memorie”, non poteva non suscitare interesse negli appartenenti alle nascenti logge massoniche pisane quali per citarne soltanto alcuni Francesco Vaccà Berlinghieri, Pietro Cercignani, Domenico Guerrazzi, Castinelli, l’avvocato francese Villecrose che si affidavano all’aiuto del “fratello” Filippo Mazzei, anch’egli massone e frequentatore tra l’altro come loro della “diacciaia” dell’Ussero per intensificare incontri, relazioni e scambi epistolari con illustri personaggi della cultura e del pensiero politico europeo dell’epoca.
Nel 1803 Mazzei pubblica a Pisa un altro importante opuscolo intitolato “ Riflessioni sulla natura della moneta e del cambio” in cui, nella veste di economista, critica aspramente l’attribuzione di valore alla moneta cartacea ed ai titoli di credito in genere.
Di grande significatività, non a caso, è che alla morte di Filippo Mazzei, avvenuta a Pisa il 19 marzo 1816 gli ideali di libertà sorti e sviluppati verso la fine del settecento venivano soffocati dalla restaurazione imposta soprattutto dall’impero austro ungarico e Napoleone Bonaparte era ormai prigioniero a Sant’Elena.
Questi ideali di libertà ed uguaglianza tuttavia, come ben sappiamo, seppur sopiti dalla repressione tornavano a risplendere dalla seconda metà dell’ottocento in tutta Europa ed anche in Italia, offrendoci le pagine più belle e gloriose della storia nazionale.
Prima di morire, Filippo Mazzei e comunque già nel 1795 redigeva il proprio testamento e dopo aver nominato erede universale la giovane seconda moglie raccomanda l’anima a Dio e lasciava all’Opera di S. Maria del Fiore di Firenze una tassa di tre lire e mezza per garantire l’accensione di candele alla propria memoria che lui definisce non proprio in armonia con lo spirito di buon cristiano.
Rimorsi attribuibili forse più a certe manifestazioni di egoismo del proprio carattere piuttosto che ricollegabili alla nobilissima attività di uomo “del libero pensiero”.
Casa di Filippo Mazzei a Pisa
Viene acquistata da Clemente del Buono che l’aveva concessa in affitto al Mazzei per un periodo iniziale.
E’ situata in via della Carriola, oggi Via Giordano Bruno, tuttora esistente e dotata di molte testimonianze della vita ivi trascorsa dal Mazzei in quanto l’attuale proprietà della stessa, detenuta dalla famiglia Lattanzi di Pisa, ne ha conservato e rispettato pienamente lo stile del tempo in cui vi ha dimorato prima con l’amante Joséphine Vuy e poi con la seconda moglie “Tonina” Antoni e la figlia Elisabetta.
Numerosi risultano i cimeli e le testimonianze di oggetti appartenuti al Mazzei. Le numerosissime lettere oggetto di fitti scambi epistolari sono custoditi in larghissima parte dall’Archivio di Stato presso la Sopraintendenza delle Belle Arti a Pisa.
Tomba di Filippo Mazzei a Pisa
Filippo Mazzei muore a Pisa il 19 marzo 1816 e viene sepolto presso il cimitero di Pisa; la tomba è situata nella cappella all’ingresso adiacente a quello principale del Cimitero Comunale.
L’epitaffio sulla tomba lo descrive come libero pensatore ed avventuriero.
Tempio Massonico
Non si hanno notizie di una ufficiale affiliazione ad una loggia massonica pisana da parte del Mazzei. Anche in una busta da lettere contenente il francobollo commemorativo dei 250 anni dalla nascita del Mazzei emesso negli U.S.A. nel 1980, pur testimoniando l’appartenenza alla Massoneria del medesimo, ne attesta la “membership lodge unknown” cioè quale iscritto a loggia sconosciuta e ciò per i motivi espressi nella sezione dedicata alla permanenza a Pisa del Mazzei.
Tuttavia, l’assidua e folta frequentazione di personaggi appartenuti alle logge massoniche pisane tra la fine del settecento ed i primi dell’ottocento da parte del Mazzei ci induce a presumere la segreta frequentazione da parte del medesimo di un tempio massonico la cui ubicazione è oggetto tuttora di approfondite ricerche.
Caffè dell’Ussero e la “diacciaia”
La diacciaia era situata nel retro del Caffè dell’Ussero, all’epoca sede molto riservata del Circolo Napoleon, come descritto nella sezione della vita di Mazzei a Pisa.
Luogo storico di incontri di moltissimi personaggi illustri ed appartenuti al mondo accademico pisano, alla cultura e alla politica nazionale, in gran parte, se non addirittura esclusivamente frequentato da massoni appartenenti a diverse logge di Pisa, Livorno e di altre parti d’Italia ed anche dell’Europa in genere.
Luogo di intensa attività e di incontri artistici e letterari il Caffè (e la locanda) dell’Ussero è stato frequentato prima ancora dell’arrivo a Pisa del Mazzei da Carlo Goldoni, da Vittorio Alfieri e Giacomo Casanova, nonché da Giosuè Carducci, da Giuseppe Giusti, Domenico Guerrazzi e Cesare Abba successivamente alla sua morte.
Questi sono soltanto alcuni dei nomi di personaggi che risultano non troppo distanti nel tempo o contestuali alle frequentazioni del Mazzei. Ma il fervore delle attività del luogo ha attratto da sempre le migliori menti e figure del mondo letterario, artistico e politico, anche successivamente alla morte del Mazzei e le testimonianze sono riscontrabili ancora ai nostri giorni in quanto il Caffè dell’Ussero è tuttora esistente a Pisa, nel suo luogo storico, il Lungarno Pacinotti.